giorno-dei-mortiNarra la leggenda che, in occasione della notte dedicata a tutti i defunti, le anime dei trapassati abbiano libera circolazione fra i vivi. Tali credenze, durante i secoli, hanno assunto la forma di misteriosi riti, ancora vivi nonostante la, amata o odiata, festa di Halloween.

A qualcuno questi riti potranno far sorridere ma specialmente nel sud Italia tali  usanze sopravvivono confermando ancora una volta l’esistenza di tradizioni universali legate alla nascita e alla morte.

E così, se a Trani esiste una testimonianza diretta del legame fra territorio e la festa dei morti – quella Chiesa di Ognissanti costruita nella prima metà del XII secolo dai Templari con un asse che punta al sorgere del sole del 1 Novembre 1100 – numerose sono anche le tradizioni ormai passate e dimenticate che in quest’occasione si ritrovano in tutta Italia.

Fra queste spicca quella pugliese di Manfredonia, dove i bambini alla vigilia di Ognissanti appendevano delle calze vicino ai letti, le cavezzette di murte, che di notte, proprio come accade per l’ Epifania, venivano riempite di dolci dai defunti in persona.

Sempre la stessa notte, contadini e ragazzi passeggiavano per le campagne bussando alle case e alle masserie cantando una serenata dedicata all’aneme de muerte, all’anima dei morti, chiedendo un po’ di ospitalità. Venivano offerti loro vino, castagne e taralli, e l’ accoglienza non di rado si trasformava in una festa.

In Sardegna ogni anno, per la festa di Ognissanti, si animano antichi riti, chiamati  “Su mortu mortu”, “Is Animeddas”, “Su Prugadoriu” o “Is Panixeddas”, che prendono spunto dalle leggende relative alle anime dei morti. I bambini e i ragazzi percorrevano le stradine dei paesi dell’isola, con i volti macchiati dal nero del carbone, reclamando dolciumi e frutta secca al suono della litania “seus benius po is animeddas, mi das fait po praxeri is animeddas?

Quello fra il cibo e l’ aldilà è però un legame molto stretto, che ha origini antichissime. Già gli egizi seppellivano i faraoni e i notabili con scorte di viveri e manufatti perché erano convinti che il defunto avrebbe avuto bisogno nella sua nuova vita di cibo e oggetti; i babilonesi e gli assiri mettevano vicino ai loro morti dei vasi di miele;i greci ei latini ponevano cibo e vini sia dentro le tombe che sopra. L’ usanza più curiosa è sicuramente quella legata ai persiani, che erano soliti porre nelle tombe cibo necessario per tre giorni perché credevano che fosse questo il tempo necessario all’ anima per allontanarsi completamente dal corpo.

Anche l’uso della zucca, che sembra essere ormai una prerogativa di Halloween, ha invece solide tradizioni in diverse parti del nostro Paese, dove viene intagliata a forma di volto più o meno terrificante e al suo interno si inserisce una candela. In Abruzzo si decoravano le zucche, e i ragazzi di paese andavano a bussare di casa in casa domandando offerte per le anime dei morti, solitamente frutta di stagione, frutta secca e dolci. Questa tradizione è ancora viva in alcuni paesi.

In Emilia Romagna nei tempi passati, i poveri andavano di casa in casa a chiedere “la carità di murt”, ricevendo cibo dalle persone da cui bussavano.

In Piemonte, si usava per cena lasciare un posto in più a tavola, riservato ai defunti che sarebbero tornati in visita.
In Val d’Ossola sembra esserci una particolarità in tal senso: dopo la cena, tutte le famiglie si recavano insieme al cimitero, lasciando le case vuote in modo che i morti potessero andare lì a ristorarsi in pace. Il ritorno alle case era poi annunciato dal suono delle campane, perché i defunti potessero ritirarsi senza fastidio.

Dunque Halloween, non è una festa inventata dagli americani, al contrario, è un rito che affonda le sue radici nel ricchissimo patrimonio culturale, religioso e mitologico delle tradizioni agricole e pastorizie europee e che simboleggia l’eterno ciclo di morte e rinascita che è alla base stessa della vita.
Certo, quella che conosciamo oggi e che si è affermata in Italia negli ultimi anni è anche una festa importata più per interessi commerciali che per condivisione culturale, ma ciò non significa che Halloween possa divenire un’occasione di arricchimento e di consapevolezza, oltre che di recupero di riti e tradizioni che rispondono a esigenze psicologiche profonde dell’uomo davanti al mistero della vita e della morte.
Basterebbe non vivere Halloween come forma di colonizzazione ma festeggiarla sapendo che i suoi riti sono gli stessi compiuti per secoli dai nostri antenati, per cui se un bambino suona alla nostra porta la sera del 31 ottobre dicendo “dolcetto o scherzetto”, non sta solo imitando il suo coetaneo d’oltreoceano, ma sta rivivendo quello stesso antico rito propiziatorio fatto per secoli dai bambini sardi, dai ragazzi abruzzesi, dai contadini pugliesi e dai mendicanti emiliani in occasione della stessa festa.


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